MILANO – La creazione di una nuova cella solare in grado di produrre idrogeno quando immersa in acqua potrebbe essere una tecnologia decisamente rivoluzionaria nel campo della produzione di idrogeno verde. Da tempo, infatti, gli scienziati stanno cercando un modo per rendere la generazione di idrogeno verde più efficiente ed economica: questo tema è talmente fondamentale da essere infatti una delle questioni più serie su cui si concentra la maggioranza della ricerca internazionale sull’H2. Ad oggi, infatti, il metodo più largamente diffuso prevede l’utilizzo di elettrolizzatori alimentati combinati con elettricità pulita, che può essere fornita da impianti la cui distanza può essere più o meno elevata.
Tuttavia, per ridurre i costi, uno degli approcci utilizzabili consiste nell’avvicinare il più possibile la fonte energetica al processo di scissione dell’acqua. Il livello più alto di integrazione è rappresentato da celle fotoelettrochimiche, il cui fotoelettrodo – una volta immerso in acqua – svolge la duplice funzione da assorbitore solare e da catalizzatore della reazione. In questo modo, in un unico dispositivo compatto avvengono sia la raccolta dei fotoni che l’evoluzione dell’idrogeno.
La nuova “cella solare subacquea” sviluppata dall’Università di Tubinga, in Germania, sfrutta proprio questo principio. Il team di scienziati, guidato dal Dottor Matthias May dell’Istituto di chimica fisica e teorica, ha sviluppato una nuovissima cella multigiunzione che è parte integrante dell’apparato fotoelettrochimico, grazie alla quale è stato possibile raggiungere un’efficienza del 18% di conversione solare-idrogeno.
Il futuro della ricerca
La maggiore criticità che presenta questo approccio sta nella difficoltà di progettazione dell’interfaccia solido-liquido: questo passaggio è molto complesso, e rende decisamente arduo ottenere rese elevate combinate con una durata prolungata.
Il team di ricercatori ha provato a ricercare una valida soluzione a questa sfida utilizzando assorbitori solari depositati in strati molto sottili su un substrato di germanio: prima GaAS e quindi GAInP, due noti semiconduttori fotovoltaici che appartengono al gruppo III-V della tavola periodica. Successivamente, hanno aggiunto uno strato finestra in AlInP per la raccolta degli elettroni e, infine, anche una copertura protettiva realizzata in GaAS. Dopo questi processi, gli scienziati hanno depositato nanoparticelle di catalizzatore, rimuovendo il GaAs protettivo che le avvolge. Si tratta di un lavoro di precisione, ottenuto grazie ad un’alta capacità e ad un elevato livello di controllo delle interfacce tra i diversi materiali. In questo modo, le strutture superficiali vengono prodotte e controllate su una scala di pochi nanometri, che corrispondono a milionesimi di millimetro.
Verso ulteriori miglioramenti
La struttura della nuova cella solare subacquea si presenta come particolarmente innovativa e allo stesso tempo molto efficace. Sono stati svolti numerosi test, che hanno mostrato un’efficienza iniziale del 18% scesa successivamente a >15% per più di 40 minuti. Il progetto - portato avanti dall’Università di Tubinga - è stato integrato nel progetto H2Demo, un’iniziativa che coinvolge anche l’Istituto Fraunhofer per i sistemi ad energia solare (ISE).
Queste ricerche sono di fondamentale importanza, e nel futuro di questi studi sono previste ulteriori innovazioni, che includeranno il miglioramento della stabilità a lungo termine, il trasferimento a un sistema di materiali a base di silicio – che è più conveniente a livello economico – e l’espansione su aree più grandi.
Di Sara Aimone