MILANO - Le opere di Laura Pugno sono un invito a entrare nel paesaggio, approfondendo l’analisi dei confini sempre più labili tra umano e non umano, stimolando la contemplazione del territorio come estensione del conoscibile o come suo confine. La sua pratica artistica è orientata al processo e comporta un impegno diretto con la natura e i suoi elementi; lavora con diversi media e materiali, tra cui disegno, fotografia, scultura e video.
I temi ambientali ed ecologici, al centro della sua indagine artistica, sono esplorati attraverso l’interazione tra arte e scienza, un dialogo che negli ultimi anni è diventato essenziale per parlare dei territori che stiamo perdendo.
Abbiamo intervistato Laura Pugno per parlarci del suo percorso artistico e di come le tematiche ambientali siano sempre più parte integrante dell’arte contemporanea.
Ciao Laura, parlaci un po’ di te, del tuo percorso artistico, di come si è evoluto negli ultimi anni e di come il rapporto tra uomo e natura è diventato un tema centrale nelle tue opere.
Il mio percorso artistico è iniziato presso l'Accademia Albertina di Torino, dove ho sviluppato le mie prime esperienze espositive, che mi hanno successivamente portata a collaborare con la mia attuale galleria, la Simòndi Gallery di Torino, città in cui attualmente vivo. Dopo un cammino piuttosto "classico", ho avuto l'opportunità di lavorare con musei e istituzioni, sia in Italia che all'estero.
Ma la ricerca artistica è stata profondamente influenzata anche dalle mie origini montane, un paesaggio che fin dall'inizio ha rappresentato un tema centrale della mia esplorazione. Mi ha sempre affascinato il legame profondo che abbiamo con la montagna, un luogo che, fino all’Ottocento, non era “visto”. La montagna suscitava timore e non veniva né osservata né studiata.
Un libro che racconta molto bene questa evoluzione sociale del ruolo della montagna è L’invenzione del Monte Bianco di Philippe Joutard. È sorprendente pensare che oggi la montagna stia diventando un rifugio ambito per sfuggire all'innalzamento delle temperature. Tuttavia, ritengo che questa sia solo una soluzione temporanea: spostare le città in quota non sarà la risposta definitiva ai nostri problemi.
Così il mio sguardo artistico, inizialmente rivolto a un interesse più fenomenologico, si è evoluto. Oggi le problematiche ambientali sono così pervasive nelle nostre vite che sento il bisogno di esprimerle attraverso i miei lavori. Mi spinge il desiderio di recuperare quell'antico legame che l'essere umano aveva con la Natura, prima che il Rinascimento instaurasse gerarchie e l'invenzione della prospettiva trasformasse il paesaggio in una categoria geometrica, tracciando una netta linea di separazione tra l’essere umano e il mondo che lo circonda.
Il tema della sostenibilità è sempre più centrale nel dibattito artistico contemporaneo. In che modo la tua arte affronta le questioni legate all'ambiente e alla responsabilità ecologica? Qual è il tuo approccio creativo e come trasformi concetti complessi, come il cambiamento climatico, in forme visive?
Hai perfettamente ragione, anche il mondo dell’arte si sta interessando a questi temi, un segnale positivo che evidenzia la necessità di dare vita a una voce globale. Sto lavorando per promuovere un dialogo più aperto nel mio campo, entrando in contatto con il mondo scientifico. Questo approccio mi fornisce solide basi su cui costruire e sviluppare le mie attività. Uno dei progetti più significativi a cui ho collaborato è stato con il nivologo Michele Freppaz, docente dell'Università di Torino. Lui è diventato il protagonista del video Over Time, in cui la neve, la scienza e la nostalgia si intrecciano per raccontare la complessità del nostro legame con questa materia affascinante e misteriosa, simbolo di un tempo eterno, ma che rischiamo di perdere.
Il cambiamento climatico sta riducendo la presenza di neve naturale, relegandola alle altitudini più elevate, con il rischio di cancellare non solo il mondo dello sport agonistico, ma anche il vasto indotto economico legato allo sci come passione e come turismo. Di fronte a questa minaccia, sarà cruciale osservare come scienza e tecnologia affronteranno le enormi pressioni economiche. L'opera è oggi parte della collezione del Muse - Museo delle Scienze di Trento.
Un altro lavoro di cui vorrei parlarti è Forme nel tempo, in cui ho cercato di catturare un elemento che sta scomparendo: il ghiaccio, che si sta ritirando non solo nelle Alpi, ma in molte altre parti del mondo. Attraverso una metodologia ripetuta nel corso dei giorni, ho realizzato un acquerello utilizzando esclusivamente l'acqua di fusione di un blocco di ghiaccio posizionato sulla carta, creando così una contaminazione tra il pigmento e l'evanescenza dell'acqua stessa. Il risultato è la traccia di due impronte: la prima è un residuo del passaggio del ghiaccio, una testimonianza della sua esistenza passata; la seconda è il tentativo umano di fermare, con un gesto artistico, il fluire inarrestabile del tempo.
Quali progetti hanno influenzato maggiormente la tua carriera? Parlando di Fading Loss all’Oasi Zegna, cosa ti ha ispirato a esplorare il legame tra il paesaggio e le sue vulnerabilità ambientali?
Citi un lavoro che è stato molto importante, Fading Loss, che mi ha spinto a osservare con rinnovato interesse i boschi della mia infanzia, poiché l'Oasi Zegna a Trivero è il luogo in cui sono nata. Questa mostra pone in evidenza il problema della moria dell'abete rosso, un fenomeno legato al surriscaldamento climatico. Un fenomeno che si sta manifestando ovunque ha trovato espressione nell’Oasi Zegna, dove ho realizzato una serie di scatti fotografici. Queste immagini sono nate dall'individuazione degli abeti destinati a essere abbattuti dalla forestale per ridurre la presenza del bostrico tipografo.
Ho voluto conservare un ricordo di questi alberi, scavando una cavità nel tronco e utilizzando la tecnica fotografica della pinhole. Ho inserito una carta fotosensibile all'interno di una semplice scatola, attraverso un foro stenopeico, per catturare l'immagine della foresta che circonda l'albero, offrendo così una prospettiva unica e intima.
Mi piace realizzare opere dove l’immagine o l’oggetto che mostro non è immediatamente riferito alla crisi climatica. È nel dialogo con le persone, nell'interazione che si stabilisce durante il lavoro, che emergono le urgenze del nostro tempo. Ho notato che questo approccio mi consente di coinvolgere un pubblico più ampio, comprese le persone ancora scettiche sull'importanza di agire e orientare il pensiero verso azioni concrete.
Puoi parlarci della tua prossima mostra? Quali temi affronterai e come si inseriscono nel tuo percorso artistico attuale?
Ho da poco inaugurato una personale nel Museo di Geografia di Padova. La mostra Displacement (il termine fa riferimento al fenomeno in cui delle particelle vengono sostituite da altre) invita i visitatori a una riflessione profonda sulle geografie non visibili delle acque, evidenziando come le mappe tradizionali, in particolare le carte IGM (Istituto Geografico Militare), non restituiscano la complessità del mare e la presenza della plastica.
Il mio intento è stato quello di colmare quell’assenza con un’azione diretta sulla carta, che ho messo a contatto con i frammenti di plastica raccolti in spiaggia. Attraverso un’azione di abrasione la carta si è consumata, ed è scomparsa una parte di mare, lasciando intravedere un materiale specchiante che non vuole essere un’allusione ai riflessi della superficie marina ma vuole coinvolgere l’osservatore, perché tutti noi siamo corresponsabili di questo fenomeno.
Questo gesto simbolico sottolinea la necessità di riconoscere le "nuove" geografie generate dall’azione umana e invita a un ripensamento poetico e simbolico delle mappe stesse.
Sito www.laurapugno.info
Valentina Toschi