MILANO – È nato nel sud della Francia, e più precisamente ad Arles, un prototipo di architettura sostenibile che impiega principalmente ecosistemi regionali di materiali per la produzione di interni ed esterni. Ma di cosa si tratta nello specifico?
Il Luma Arles e l’architettura sostenibile
L’Atelier Luma è un progetto sviluppato nel campus di arte contemporanea della collezionista e mecenate svizzera Maja Hoffman: un’oasi lussureggiante con capannoni espositivi costruita nel 2021 con l’obiettivo di dare un luogo e una forma alla possibilità di un futuro bioarchitettonico.
Ed è proprio in quest’ottica che si inserisce il nuovo progetto: l’ultima frontiera di quello che può essere definito eco-building. Anche se da anni gli esperimenti e le innovazioni in questo senso, in giro per il mondo, sono soggetti a una diffusione sempre più ampia – basti pensare al recentissimo annuncio del Dubai Reefs – questa idea, seppure molto più semplice, rappresenta un ulteriore passo avanti, impiegando quello che lo stesso direttore artistico Jan Boelen definisce “design bioregionale”, per far fronte al problema dell’inquinamento causato dall’ambiente edificato, che produce circa il 40% delle emissioni globali di CO2.
L’impegno nei confronti dell’ambiente è una questione quasi genetica per Maja Hoffman, la quale, per seguire le orme del padre che per anni si è battuto per la protezione delle zone umide in Camargue, ha deciso di creare il proprio progetto sostenibile, con un approccio più creativo e produttivo.
Design bioregionale: la filosofia alla base dell’Atelier Duma
La filosofia alla base di questo progetto innovativo e sostenibile viene perfettamente ripresa dalle parole di Jan Boelen:” Dobbiamo passare da catene di approvvigionamento estrattive globalizzate verso ecosistemi regionali di materiali che aiutino a rigenerare l'ambiente. Dove gli altri potrebbero vedere sprechi, noi vediamo opportunità”. Questo vuol dire che il focus del progetto è l’impiego di metodi di costruzione organici con materiali di provenienza locale, individuati, studiati e testati grazie a un team di 30 esperti che si è cimentato nella mappatura delle risorse del territorio, delle industrie e dei prodotti di scarto, identificando know-how locale e flussi di materiali.
Grazie a queste approfondite analisi e ricerche, è stato così possibile individuare una serie di materiali e metodi da poter utilizzare per la costruzione vera e propria. Gli oggetti all’interno e la stessa struttura portante sono stati realizzati con materiali che mai avremmo pensato potessero diventare parte del nostro arredamento domestico: dalle maniglie antibatteriche fatte di sale raccolto dalle saline della zona, alle balle di paglia prodotte con il riso per creare un sistema di isolamento termico, passando per le piastrelle realizzate con argilla di scarto di una cava della zona.
Anche se ancora in fase di sviluppo ed evoluzione – e probabilmente lo sarà per sempre – l’idea è quella di esportare il progetto dell’atelier a livello internazionale, sfruttando di zona in zona i materiali regionali a disposizione.
Di Elena Parodi