MILANO - L'8 giugno si celebra la Giornata Mondiale degli Oceani. Istituito nel 2009 dalle Nazioni Unite, il World Oceans Day mira a sensibilizzare l'opinione pubblica sull'impatto delle azioni umane sugli oceani e a introdurre misure globali nella gestione sostenibile dei mari, obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030. Ma qual è oggi lo stato di salute degli oceani che coprono tre quarti del nostro Pianeta? Una recente ricerca condotta dall’Università del Queensland pubblicata su Nature Climate Change ci permette di tracciare un bilancio aggiornato.
I cambiamenti climatici sui fondali oceanici
La ricerca, guidata dal Queensland Isaac Brito-Morales, esamina il modo in cui i fondali oceanici rispondono ai cambiamenti climatici. Prendendo in considerazione gli ultimi 50 anni e utilizzando come metrica la velocità climatica,- che consiste nel tempo impiegato e la possibile direzione verso cui una specie può cambiare a causa del riscaldamento oceanico - i ricercatori hanno scoperto che la velocità climatica è attualmente due volte più veloce in superficie rispetto ai fondali oceanici. Ciò a causa del maggiore riscaldamento superficiale. Di conseguenza le specie che vivono più in profondità hanno meno probabilità di essere a rischio a causa dei cambiamenti climatici rispetto a quelle in superficie.
“Questo – afferma il ricercatore - ci ha permesso di confrontare la velocità climatica in quattro zone di profondità oceanica, valutando in quali zone le diverse specie potrebbero vedere modificata la loro distribuzione in risposta ai cambiamenti climatici". Tuttavia, entro la fine del secolo, i ricercatori prevedono che non vi sarà un riscaldamento solo della superficie, ma anche delle acque profonde. “Nelle acque tra una profondità di 200 e 1000 metri, la nostra ricerca ha mostrato che le velocità climatiche potrebbero aumentare di 11 volte rispetto all’attuale.”
L’importanza di ridurre le emissioni di carbonio
Non solo la velocità del clima si muove a velocità diverse a diverse profondità nell'oceano, ma anche in diverse direzioni, il che pone enormi sfide legate alla progettazione delle aree protette. Secondo il professor Anthony Richardson, ricercatore senior della UQ, “ridurre in modo significativo le emissioni di carbonio è fondamentale per controllare il riscaldamento e per aiutare a controllare le velocità del clima negli strati superficiali dell'oceano entro il 2100." Tuttavia, a causa delle immense dimensioni e profondità dell'oceano, il riscaldamento già assorbito dalla superficie dell'oceano si mescolerà comunque alle acque più profonde.
Cosa fare per tutelare le acque degli oceani
Secondo i ricercatori, rimane una sola opzione: agire con urgenza per alleviare le minacce generate dall’uomo alla vita in acque profonde, tra cui l’estrazione dai fondali marini e la pesca in acque profonde. “Il modo migliore per farlo - afferma Brito-Morales - è dichiarare nuove, grandi aree protette nell’oceano profondo in cui sia vietato recare danno alla vita oceanica, o che almeno essa sia gestita rigorosamente.”
di Salvatore Galeone
Source: Adobe Stock