MILANO – Lo scorso 22 aprile, 175 Paesi hanno firmato l’accordo sul clima. Tale collaborazione, che vede protagonisti i grandi del mondo, era già stata approvata a dicembre 2015 durante la conferenza di Parigi. Durante la “Giornata della Terra“, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha annunciato l’apertura della cerimonia dell’Assemblea delle Nazioni Unite. Un momento storico conclusosi nel migliore dei modi: tutti i Paesi hanno deciso di impegnarsi seriamente alla necessità di affrontare il problema del cambiamento climatico. Tra i firmatari anche Stati Uniti, Unione Europea, Cina e Russia.
Cosa prevede l’accordo sul clima
Il testo dell’accordo sul clima prevede di bloccare l’aumento della temperatura al di sotto dei 2 gradi a partire dal 2020. In particolare, i Paesi si impegnano a non superare l’1,5 gradi. Dal 1880 l’aumento è stato di 0,85 gradi. Senza interventi, la soglia limite potrebbe essere raggiunta già nel 2035. Inoltre, i leader dei Paesi industrializzati si obbligheranno a creare un fondo annuo di 100 milioni di dollari con l’intento di trasferire delle tecnologie pulite nei Paesi non in grado di realizzare autonomamente il passaggio alla green economy, minimizzando in questo modo l’impatto negativo sull’ambiente. I controlli verranno effettuati ogni 5 anni a partire dal 2023.
Cambiare le politiche ambientali
L’obiettivo principale riguarda quindi la riduzione dell’emissione di gas serra, con il presupposto di cambiare le politiche ambientali. Il testo, di 31 pagine, entrerà in vigore quando almeno i 55 Paesi che rappresentano il 55% delle emissioni globali si uniranno formalmente all’accordo. Stati Uniti e Cina, che rappresentano da soli il 38% del flusso dei gas presenti nell’atmosfera, hanno assicurato che ratificheranno l’accordo di Parigi entro il 2016.
L’Unione Europea, invece, rappresenta meno del 10% delle emissioni e necessita di molto tempo affinché Bruxelles decida la riduzione del flusso di carbone fossile di ciascuno degli stati membri. La firma dell’accordo di Parigi è dunque un passo importante per la politica ambientale globale, ma non sarà comunque facile riuscire a raggiungere il 55%.
di Alessandro Conte