“Life Ursus” e il ritorno degli orsi in Trentino

“Life Ursus” e il ritorno degli orsi in Trentino

Ripercorriamo la storia dei diversi progetti che hanno favorito il ripopolamento degli orsi bruni nel territorio alpino

MILANO – In Trentino, nella prima metà del ‘900, gli animali venivano cacciati ed erano pochi gli esemplari rimasti. Nel dopoguerra si assiste ad un’inversione di tendenza: le Alpi si spopolano, l’esodo coinvolge l’80% degli abitanti che si sposta in città per lavoro, la vegetazione prende di nuovo terreno e tornano gli animali. A ciò si aggiungono diversi progetti di ripopolamento delle montagne, diversi animali quasi estinti vengono reintrodotti, come il cervo dall’est e dal nord Europa. Il progetto “Life Ursus”, finanziato dall’Unione Europea, e partito nel 1996 rientra in questo quadro ponendosi  l’obiettivo della reintroduzione dell’orso bruno nell’arco alpino, partendo da dieci esemplari sloveni. Il progetto ha avuto successo e oggi si stima che nel Parco Naturale Adamello Brenta siano presenti circa cinquanta orsi.

Quando gli orsi diventano un pericolo?

Nel 2008, quattro anni dopo la fine di Life Ursus, le province autonome del Trentino-Alto Adige, la Regione Friuli Venezia Giulia, la Regione Lombardia, la Regione Veneto, il Ministero dell’Ambiente e l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) approvarono il PACOBACE, per regolare la gestione e la conservazione delle popolazioni di orsi sulle Alpi centro-orientali. Il documento spiega che la pericolosità di un orso è generalmente legata alla sua “assuefazione” e al suo “grado di confidenza” con le persone. Un’eccezione è quella delle orse con i cuccioli. Gli orsi, infatti, sono animali prevalentemente vegetariani e salvo eccezioni non vedono una minaccia nelle persone, ma nemmeno sono interessati ad avvicinarle. Se però un orso si abitua alla presenza degli esseri umani potrebbe avvicinarsi più spesso e facendolo aumentare le situazioni di rischio per le persone.

La mancanza di informazione e di educazione

Andrea Mustoni, biologo responsabile dell’Area Ricerca Scientifica e divulgazione del Parco Adamello Brenta e coordinatore di Life Ursus, nel 2017, in un’intervista al Corriere del Trentino aveva dichiarato: “Posto che il rischio zero non esiste, è dimostrato a livello globale che più comunicazione si fa, meno aggressioni ci sono”. In quell’occasione Mustoni aveva ricordato che anche se nel 2002 la provincia di Trento aveva deliberato sulla necessità di un piano di comunicazione riguardo alla convivenza con gli orsi non era stato ancora redatto.

Piero Genovesi, responsabile del Servizio per il coordinamento della fauna selvatica dell’ISPRA, aveva affermato in un’intervista a Repubblica che gli attacchi con feriti, in tutta Europa, ci sono tutti gli anni, ma le aggressioni mortali sono molto rare. In Svezia, dove vivono tra i 4 e i 5mila esemplari di orsi a fronte dei circa cento che vivono in Trentino, si registra circa un incidente all’anno, ma quelli mortali negli ultimi 15 anni sono stati soltanto due. Il segreto sta proprio nell’informare ed educare gli escursionisti prima del loro ingresso nei boschi o nei parchi.

Come evitare incidenti

Secondo gli esperti di orsi e le associazioni ambientaliste, non ci sarebbero grossi problemi con gli orsi se le persone che vivono nei territori in cui sono presenti fossero più informate e abituate ad averci a che fare. In particolare, il WWF fornisce alcune regole che residenti e turisti dovrebbero durante le escursioni in montagna. È importante restare sui sentieri; parlare a voce alta, tenere il proprio cane al guinzaglio; non avvicinarsi alla fauna selvatica, nemmeno per scattare una fotografia; non lasciare cibo a disposizione degli animali; restare fermi o allontanarsi lentamente in caso di incontro ravvicinato, e non colpire gli animali.

Di Carola Bernardo

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