MILANO – La gestione delle fonti d'acqua, la tutela delle stesse, l'approvvigionamento idrico e le difficoltà nell'accesso alle fonti d'acqua pulita sono tematiche sempre più delicate, nel veloce mondo del terzo millennio. Una delle preoccupazioni maggiori di chi si occupa di crisi idriche e di gestione delle fonti idriche è legata proprio alla carenza d'acqua: in particolare, in molte zone desertiche e abitate del mondo, la cultura di sopravvivenza e le nuove tecnologie stanno creando incredibili opportunità per l'approvvigionamento idrico di queste zone. Un esempio virtuoso è il progetto per portare acqua potabile nella regione di Aït Baâmrane, nel sud-ovest del Marocco, che confina con il Sahara, un'area segnata da secoli di desertificazione.
Il progetto CloudFisher
Il progetto, decisamente ambizioso, nasce dalla collaborazione tra la ONG marocchina Dar Si Hmad, che promuove la cultura locale e iniziative di sostenibilità ambientale, e altre organizzazioni partner tedesche e utilizza una tecnologia chiamata CloudFisher. Alle pendici del monte Bout Mezguida, nella zona montuosa dell'Anti Atlante, sono stati eretti una serie di pali di acciaio alle cui sommità è stata installata una rete nera realizzata in polimeri. 600 metri quadrati di polipropilene che trattengono gocce d'acqua talmente piccole che è impossibile che cadano in forma di pioggia e che riesce a raccogliere ogni 24 ore circa 63 litri d’acqua.
Acqua nelle regioni desertiche
Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità la comunità che vive nella regione marocchina di Aït Baâmrane necessita di circa 70 litri d'acqua al giorno (in Italia ne utilizziamo circa 200 pro-capite), che bastano a soddisfare il fabbisogno personale, l'irrigazione delle coltivazioni e la sete del bestiame. Parliamo di oltre 1.500 persone e circa 5.000 animali vivi. CloudFisher dunque contribuisce a oltre il 90 per cento del fabbisogno locale di acqua in una zona desertica e apparentemente inospitale.
di Alessandro Michielli