MILANO - Il rapporto tra azienda e organizzazioni, da un lato, e design dall’altro, non si limita solo all’estrazione di bellezza e creatività: oggi le discipline del “design for behaviours”, “design for education, o ancora “design for maintenance” possono essere applicate alla vita aziendale e alla pubblica amministrazione per favorirne uno sviluppo sostenibile, in linea con gli obiettivi dettati dall’ONU. E’ questa l’opinione di Cabirio Cautela, Amministratore Delegato di POLI.design, Società Consortile fondata dal Politecnico di Milano nel 1999, riconosciuta eccellenza che riunisce attorno a sé un polo di ricerca e formazione post laurea.
Design alleato verso la sostenibilità
Ripensare il modo di fare impresa, di organizzare il lavoro e gli spazi. Ma anche ridefinire il modo di organizzare i servizi per le città e le comunità. Con queste capacità e attitudini, il design è entrato con decisione nei processi aziendali e sta entrando in quelli pubblici. Ma non solo: secondo Cautela il design può trasformarsi nel miglior alleato delle imprese per affrontare le sfide poste in atto dai Sustainable Development Goals (SDG) delle Nazioni Unite che impongono alle imprese scelte radicali sulla loro catena del valore, sulla trasformazione digitale del lavoro, sul legame con le comunità locali e sull’impronta ambientale. Una trasformazione che tutti i Paesi membri dell’ONU dovranno completare entro il 2030.
Ma dove il suo intervento è più potente e decisivo? Secondo l’AD di POLI.Design in almeno 6 tra i 17 Sustainable Development Goals: good health & wellbeing (SDG 3), gender equality (SDG 5), affordable & clean energy (SDG 7), industry, innovation & infrastructure (SDG 9), sustainable cities & communities (SDG 11) e responsible consumption & production (SDG 12).
Il design per le città e le comunità sostenibili
Da sempre, e ancora di più negli ultimi anni, il design ragiona in termini “human-centric”, ovvero quel tipo di progettazione di servizi, prodotti e spazi in cui l’esperienza della persona sia centrale. Proprio per questo, il design può dare alle città una maggior capacità di “umanizzazione” di alcuni servizi pubblici che, purtroppo, spesso non sono sostenibili o efficaci per gli utenti. La riprogettazione dei servizi pubblici – in accordo spesso al ruolo “sovvertitore” del design rispetto ai paradigmi dominanti – non può che ripartire da un nuovo ruolo da attribuire agli utenti.
In diversi casi infatti il “design dei servizi” pubblici può prevedere un ruolo attivo della cittadinanza, dando vita a comunità locali attraverso lo sviluppo di piattaforme partecipative in cui le persone possono co-progettare dei servizi di welfare – come ad esempio gli asili nido, comunità di supporto, gli orti comunitari, o ancora i gruppi di mutuo sostegno. In questo modo, attraverso il design, la città collabora con la propria comunità per creare innovazione sociale, sostenibilità, servizi green.
Il design per un consumo e una produzione responsabili e green
L’AD Cabirio Cautela sostiene che le implicazioni che la produzione di un bene può avere sull’ambiente debbano essere approcciate in fase di progettazione, perché quando inizia la produzione è troppo tardi per intervenire. In questo caso entra in campo la disciplina del “green o eco-design” che prevede la valutazione dei diversi impatti del prodotto lungo tutto il ciclo di vita utile del bene. Obiettivo principale dei green designer è la creazione di prodotti e progetti sviluppati nell’ottica della rigenerazione ambientale e delle sue forme di vita.
Ridurre, riutilizzare e riciclare sono vecchie parole chiave che secondo Cautela oggi si accompagnano ai principi della circolarità della produzione e dei modelli di business. E proprio per questo, i designer, negli ultimi anni, sono stati formati con approcci innovativi che vanno dal “disassembling” (prodotti studiati per essere disassemblati in parti pienamente riciclabili) al “design for reuse” o “per la circolarità” (con cui si immagina in anticipo l’uso successivo di alcune componenti o del prodotto intero), o ancora al “design for attachment” (che serve a legare emotivamente gli utenti ai prodotti col fine ultimo di allungare la vita utile dei prodotti). Si va sempre più verso prodotti “ricondizionabili”, resettabili all’occorrente per una seconda o terza vita e tale opzione deve essere sempre più prevista nelle fasi di progetto iniziale.
Ma il cambio di passo non si limita alla sola gestione del prodotto: sono sempre di più, infatti, i designer che lavorano per aiutare le imprese nella loro transizione verso la “servitization” dell’economia, ovvero il passaggio verso l’offerta di soluzioni che coniugano asset tangibili e servizi complementari (come nel caso del car sharing per quello che riguarda l’automotive).
L’importanza dei professionisti
Quelli illustrati da Cautela sono solo alcuni dei casi in cui il design può intervenire per velocizzare la transizione necessaria per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Molto è già stato fatto, ma la strada per attuare una trasformazione radicale è ancora lunga e il tempo, invece, non è tantissimo. Per questo, l’AD di POLI.Design sostene che occorra percorrere questa strada con professionisti, come i designer, capaci di destreggiarsi tra discipline tecniche e scientifiche, sociologiche e umanistiche possa rendere il percorso meno complicato e offrire l’opportunità di arrivare alla meta un po’ più velocemente.
Di Salvatore Galeone
Photocredits: Sven Mieke per Unsplash