MILANO – Le acque dei fiordi delle Svalbard, l’arcipelago artico tra la Norvegia continentale e il Polo Nord, sono note per gli schiocchi, i crepitii e i boati dovuti agli iceberg e ai ghiacciai che si sciolgono.
Ora nuove ricerche hanno scoperto che lo sfrigolare di un ghiacciaio in disgelo è diverso dal brontolio di un iceberg che si ammorbidisce, e che questi suoni spia sono più intensi dove il ghiaccio si sta sciogliendo più velocemente.
Questi risultati, ottenuti da un team di ricercatori della Scripps Institution of Oceanography e pubblicati sul portale Scientific American, suggeriscono che i rumori in questione possano essere sfruttati come utili indizi per stabilire la velocità con cui i ghiacciai possono ritirarsi all’aumentare delle temperature e, quindi, quanto velocemente potrebbe aumentare il livello globale del mare.
Lo studio del ritiro glaciale
Per tracciare il ritiro graduale dei ghiacciai possono essere usati i satelliti, che tuttavia non possono esaminare da vicino il punto più critico dell’evento: la parte inferiore del fronte di un ghiacciaio, dove l’acqua di mare incontra il ghiaccio e ne facilita lo scioglimento.
E lavorare lungo il fronte dei ghiacciai, dove enormi iceberg scivolano regolarmente in mare, è molto pericoloso. Invece, inserendo in quelle zone degli idrofoni, ossia microfoni subacquei, si potrebbero ottenere in tutta tranquillità misurazioni accurate del cruciale processo di fusione.
Per testare questa idea, gli scienziati hanno piazzato idrofoni nel fiordo Hornsund delle Svalbard, vicino ai punti terminali dei ghiacciai Hans, Paierl e Stor.
Nelle registrazioni, la differenza tra ghiacciai e iceberg è inconfondibile. I fronti dei ghiacciai sono pieni di bolle d’aria compressa che scoppiettano quando colpiscono l’acqua, creando un suono dolce e continuo come la pioggia su un placido lago.
In un iceberg ci sono meno bolle perché sono molto più piccole, di quelle del ghiacciaio di provenienza, quindi il rumore che fanno è più irregolare. Somiglia a quello di una pentola d’acqua in ebollizione, in cui si può distinguere il suono delle di singole bolle che scoppiettano.
La velocità fusione
I ricercatori hanno scoperto di poter distinguere i suoni prodotti da un iceberg sul lato esposto alla corrente di superficie locale e quelli provenienti dal lato protetto.
Lo scioglimento dovrebbe essere più rapido sul lato esposto, dove l’oceano va incontro al ghiaccio, traducendosi in un rumore più intenso nelle registrazioni.
Il risultato suggerisce che l’intensità del rumore del ghiaccio può indicare agli scienziati dove il ghiaccio si sta sciogliendo più velocemente.
Dal mare alla montagna
Anche nel nostro Paese il problema dello scioglimento dei ghiacciai sta diventando sempre più importante.
Un team di ricercatori dell’Università di Milano è attualmente impegnato, in Alta Valtellina, nel progetto Levissima Spedizione Ghiacciai.
L’obiettivo è studiare la fusione glaciale con le migliori attrezzature di rilevamento aereo, l’occhio tecnologico di un satellite NASA per acquisire immagini ad altissima risoluzione e una stazione meteorologica all’avanguardia che acquisisce dati energetici.
di Alessandro Conte
15 giugno 2018
credits: fotolia