MILANO - Il mare d’inverno è salvezza per gli animi inquieti. Quando l’assalto dei turisti è un ricordo sfocato, restano i muri scrostati dalla salsedine dei lidi chiusi, i chioschi in legno che segnano il passo dei viandanti in cerca di conchiglie sull’arenile deserto, le impronte dei cani sulla battigia. Qualche gabbiano sfiora l’acqua e poi si ferma a riposare sugli scogli piatti, quando nei giorni generosi il sole splende limpido e l’acqua cristallina è un invito al viaggio. I solitari e i poeti amano il mare d’inverno, in cui si specchiano le antiche malinconie e si riscoprono nuove speranze d’avvenire, in un giorno qualsiasi, in cui la primavera sembra dietro l’angolo.
La scoperta del mare
Anche chi è nato sui monti, come me, può essere rapito dal grande blu, tanto da eleggerlo a dimora dell’anima. Vengo dall’Appennino, dalla terra in cui ci si addormenta seguendo con lo sguardo il profilo della Bella Dormiente. Ero piccolissima quando negli anni 80 un grande boato ha sconvolto la popolazione, che si è riversata in strada, mentre la terra tremava e le case si sbriciolavano. A Benevento le “casette dei terremotati” mi piacevano perché mi sembravano simili alle case delle bambole, non avevo capito nulla della tragedia che si stava consumando: io sognavo persa nei miei mondi. E quando i miei genitori mi hanno portato a vivere in Puglia io ricordo una grande casa nuova, un trasloco che per me era un gioco e mi divertivo con gli scatoloni da aprire. E il mare, la grande scoperta. Il paradiso a pochi passi.
Ricordo con tenerezza quando mia madre mi portava al mare prendendo la corriera: in un quarto d’ora raggiungevamo San Cataldo, la marina dei leccesi. Avevo quattro anni e nuotavo già senza braccioli. Poi la folgorazione del mar Ionio, l’acquisto di una piccola casa a Gallipoli, il sogno di mio padre, uomo di città in giacca e cravatta che al mare diventava un uomo libero di nuotare di primo mattino, quando il blu è immobile e le onde ancora non si sono svegliate.
Ascoltare le onde
Il mare è un sogno di libertà che non conosce stagioni. E io, che in quella casetta sul mare ho scelto di vivere, benedico ogni giorno il dono della Vita, mentre ascolto la voce delle onde, ora un murmure cupo, ora uno sciabordio gentile. Altrove non potrei vivere, io che amo la bellezza selvatica di una natura che è salvezza, per chi insegue il sorriso del tempo nel volo di un airone. Come me, tanti stranieri sono approdati al mare, convinti che ascoltare le onde possa essere la miglior medicina per aggiustarsi il respiro. Con testardaggine restiamo qui, dimenticando la nostra tristezza indicibile, col mare di lato.
C’è un popolo silenzioso di pescatori che col mare sa convivere in ogni mese dell’anno. Io non ho questa sfrontatezza, questo coraggio: io mi limito a respirare e chiudere gli occhi. Ho una penna con me, per fermare l’istante in cui viene a trovarmi la poesia.
Può accadere anche che arrivi la neve sul mare: qui al Sud è la scoperta di un manto bianco che ha il sapore di una favola, che fa tornare bambini. Il miracolo dello stupore che ti fa tornare treenne, quando la mamma ti prendeva per mano.
Una preghiera al mare
Per tutte le volte che l’inverno sul mare può fare paura, ci stringiamo in una coperta e ognuno ha la sua Preghiera da affidare al Cielo. Qualcuno invoca i grandi assenti, qualche altro supplica la Madonna di far tornare a casa chi è per mare, altri si rifugiano in un libro.
“Si getta sul mare uno sguardo che ha sempre qualcosa di perduto”, si legge in “Attesa sul mare”: e con la lezione di Francesco Biamonti che echeggia nel cuore, sembra più dolce anche la tempesta che ci sorprende nelle nostre fragilità di piccoli uomini.
Di Maria Pia Romano