MILANO – Con un background come giornalista, Francesca Della Giovampaola si è appassionato al mondo della agricoltura sostenibile negli anni successivi. Nel 2013 avvia il progetto del Bosco di Ogigia ed oggi lo porta avanti con Filippo Bellantoni.
Parlateci un po’ di te, come è nato il progetto Il Bosco di Ogigia? Come mai questo nome?
Il progetto nasce prima di tutto da me, poi Filippo si è unito quando è diventato un progetto editoriale. È nato da una voglia personale di un maggiore contatto con la natura. Io vivevo a Roma, facevo vita di città, avanti e indietro dall’ufficio. Avevo voglia di avere un maggiore contatto con la natura e ho pensato che fosse il momento migliore per un ritorno a casa; quindi, ho comprato un pezzo di terra vicino a casa dei miei genitori (Montepulciano), dove ero solita tornare nel fine settimana. Ho cercato subito un modello di coltivazione che non richiedesse una presenza costante. La food forest è un sistema di coltivazione che prevede inizialmente l’aiuto dell’uomo, ma poi si viene a creare un ecosistema che si sostiene da solo e questa è stata la prima impostazione che ho dato alla mia terra. All’inizio ho pensato di fare un blog, di raccontare questa mia esperienza particolare, dopo poco è entrato nel progetto anche Filippo Bellantoni e abbiamo iniziato a raccontarlo anche attraverso i video, successivamente abbiamo aperto diversi social. Il Bosco di Ogigia è stato acquistato nel 2013, diciamo che inizialmente era una passione, poi un’attività collaterale, adesso è diventato anche il nostro lavoro tra l’attività di coltivazione e comunicazione. Il nome bosco di Ogigia è un’idea che mi è venuta durante un corso per creare una food forest e nasce da un’immagine mitologica, perché Ogigia è l’isola di Calipso, la dea che trattiene per 7 anni Ulisse. Ogigia è descritta come un luogo rigoglioso, ricco, una specie di paradiso terrestre.
Qual è il tuo rapporto con la sostenibilità? Ci sono altri ambiti, oltre a quello dell’agricoltura, su cui ti consideri attenta?
Io ho studiato e insegno permacultura. La permacultura è un approccio nato una cinquantina di anni fa, anche se in Italia non è molto conosciuto, che pone un’attenzione particolare su tutti i consumi agricoli; si cerca un’agricoltura che sia permanente, nel senso che sia sostenibile da un territorio nel lungo periodo, mentre la maggior parte dell’agricoltura odierna tende a consumare un territorio, a impoverirlo, a non restituire quello che toglie e si va verso a problematiche riguardanti i terreni. È un’attenzione affinché il sistema resti in equilibrio con la natura. Io nella mia vita cerco di produrre meno rifiuti possibili, acquistare solo cibo da aziende sostenibili e recuperare la materia organica per nutrire le coltivazioni.
Abbiamo visto che nel vostro sito c’è una sezione dedicata ai corsi. Qual è il vostro obiettivo e chi volete raggiungere?
Le persone che ci seguono hanno un desiderio di ritorno alla terra, sono interessate ai temi relativi alla sostenibilità e alla salute. Abbiamo un catalogo di corsi molto ampio. Il nostro corso madre è inerente alla rigenerazione del suolo, poi abbiamo anche fatto dei corsi inerenti alla valorizzazione degli oli essenziali e alla conoscenza delle vitamine per sapere come nutrirci al meglio. Poi ci occupiamo anche di risparmio energetico: abbiamo fatto un corso su stufe a pirolisi, che sono delle stufe che permettono di utilizzare materiali di scarto, scaldandosi in maniera efficace e salutare. I corsi sono importanti per diffondere le pratiche in cui crediamo. In aprile ho pubblicato il libro “la cura della terra”, racconta un po’ la mia storia e fornisce un po’ di consigli sulle nostre attività pratiche di tutela della terra, ma anche sulla visione che dobbiamo avere sul tema della tutela del suolo.
Come le piante si stanno adattando al cambiamento climatico? Esiste un rischio che alcune piante possano sparire? È anche un’opportunità di importare altre piante?
Diciamo che non è così prevedibile come riusciranno a reagire le piante al cambiamento climatico; quindi, non mi sento di fare previsioni. Quello che mi interessa del cambiamento climatico, è tutto ciò che è collegato alla salvaguardia del suolo, quindi dobbiamo ripartire da qui. Si spinge molto sulle soluzioni tecnologiche, ma non abbastanza sulle soluzioni naturali. Il punto fondamentale è il suolo, che è alla base del funzionamento degli ecosistemi per quanto riguarda il ciclo dell’acqua e del clima. Se noi abbiamo problemi di siccità, non dipende solo alla piovosità, ma è anche legato a come il suolo recepisce quell’acqua, come la riesce a trattenere, se riesce a farla filtrare fino alle falde. Dalla gestione del suolo deve arrivare la principale soluzione al problema del cambiamento climatico, poi le tecnologie ci devono aiutare a fare meno di tanti tipo di combustibili.
Che consigli daresti ai nostri lettori in merito alle pratiche dell’agricoltura sostenibile? Se qualcuno è alle prime armi, cosa può rendere il proprio orto più sostenibile?
Sicuramento consiglio di coltivare la terra anche se si ha poco spazio e tempo, perché produce tanti vantaggi, oltre alla soddisfazione di produrre del buon cibo, si fa del bene a noi stessi, si imparano molte cose, si creano delle condizioni per migliorare le nostre relazioni sociali. Sono attività che è bello condividere. Poi, ritornando sempre al tema principale, per prima cosa si coltiva la salute del suolo. Dalla salute del suolo deriva anche il successo delle nostre coltivazioni, piccole o grandi che siano.
Di Stefano Morretta