Intervista al giornalista che segue i temi ambientali sullo storico magazine di via Solferino
Perché sono stati ideati i Sette Green Awards?
L’iniziativa è nata con l’idea di stimolare l’attenzione non solo degli addetti ai lavoro ma allargando il settore dell’ecologia a un pubblico più ampio di quello che è collegato sui temi strettamente ambientali. L’intenzione quindi è stata quella di diffondere a una fetta di opinione pubblica più vasta le idee che si stanno sviluppando nei vari settori dell’eco-sostenibilità.
Quali sono i settori in Italia che, in positivo e in negativo, spiccano nell’approccio green?
Di positivi o meno peggio non ne vedo. In tema ambientale il “luogo” in cui siamo più indietro è quello della cura del territorio. L’Italia è il paese nel quale lo scempio ambientale e la cementificazione ha prodotti disastri nel passato. Negli ultimi 40 anni è stata cementificata una superficie grande come Lombardia, Piemonte e Liguria messe insieme. Nonostante questo stiamo procedendo a un ritmo di copertura del nostro territorio che è doppio rispetto a quello degli altri Paesi europei. E questo è il punto su quale siamo più indietro, ovvero quello della gestione delle risorse ambientali. Non solo, in questa condizioni noi ne stiamo pagando anche le conseguenze: se con un territorio sano la nostra agricoltura era in grado di rispondere alle nostre esigenze, adesso siamo costretti a importare i prodotti dall’estero.
L’Expo è alle porte, l’Italia è pronta?
No, non siamo pronti perché, come detto, stiamo pagando l’uso dissennato del territorio. Dovremmo ripartire da qui e sfruttare questa occasione per farne un’occasione anche culturale e stimolare l’attenzione dell’opinione pubblica riacquisendo quei valori sani della difesa del territorio, dell’agricoltura e dell’allevamento. I temi dell’Expo ruotano su questa direttrice dell’alimentazione e perciò potrebbe essere una vetrina interessante sulla quale stimolare l’attenzione e valorizzare il meglio delle eccellenze italiane.
L’Expo quindi è anche un occasione di valorizzazione del Made in Italy?
Assolutamente sì, perché alla fine il rischio è quello di perdere quelle sapienze antiche che sono il vero patrimonio da tutelare. E’ quello che può continuare a fare la differenza. Per fare un esempio, l’Italia ha perso una quantità grandissima di specie bovine che producevano anche tipi di latte diverso che conseguentemente consentivano la produzione di tipi di formaggi diversi. Se quindi i nostri prodotti si uniformano a tutti gli altri, perdiamo la possibilità di fare la differenza nel tempo per qualità ed eccellenza.
aggiornato il 14 ottobre 2014