Uno studio del Mit di Boston rileva come anche l’anidride carbonica incida sullo scioglimento dei ghiacciai
BOSTON – Le calotte polari e ghiacciai coprono il 7% della terra, più grande della superficie di Europa e Nord America combinato, e svolgono un ruolo importante nel clima globale. I piccoli meccanismi di guasto e di frattura ghiaccio, però, rimangono in gran parte nascosti. I ricercatori del Mit di Boston hanno scoperto, in uno studio pubblicato recentemente sul Journal of Phisics D, che l’aumento di biossido di carbonio (Co2) fa sì che il ghiaccio si indebolisca in maniera significativa, aumentando la possibilità di fratturarsi o rompersi indipendentemente dalla temperatura. Se a questa scoperta si aggiunge il sempre vecchio allarme del surriscaldamento ecco che, la combinazione di questi due fattori potrebbe significare che calotte e ghiacciai rischiano di sciogliersi in ritmi ancora più rapidi di quelli preventivati dagli esperti.
LO STUDIO - Markus Buehler e Zhao Qin hanno realizzato alcuni simulazioni al computer a livello atomico per capire le dinamiche della forza del ghiaccio. Hanno scoperto che il gas diminuisce la forza del ghiaccio interferendo con il legami idrogeno che tendono unite le molecole d’acqua in un cristallo di ghiaccio. In particolare le molecole di anidride carbonica, infiltrandosi nel ghiaccio dall’esterno, tende a migrare verso l’interno formando una specie di crepa. Così facendo le molecole d’acqua vengono spinte verso l’esterno e lasciando i legami rotti all’interno della struttura cristallina, diminuendo la forza complessiva del ghiaccio. Le simulazioni hanno permesso di apprezzare una riduzione della resistenza di circa il 38%.
LE PROSPETTIVE - La scoperta è la prima prova di questo fenomeno per cui è troppo presto per dire quanto, rispetto alle previsioni, il ghiaccio aumenti i ritmi di scioglimento. Ci sono diversi meccanismi, però, che potrebbero portare gli esperti a rivedere al rialzo le loro stime. Le calotte giocano un ruolo cruciale nel riflettere la luce solare verso lo spazio: attualmente coprono circa il 7% della superficie terrestre, ma sono responsabili per l’80% nella riflessione dei raggi del sole. Questo perché il colore bianco brillante di ghiaccio aiuta riflettere la luce in modo più efficiente di quasi qualsiasi altro tipo di copertura del terreno. Ciò vuol dire che più il ghiaccio si riduce, meno superficie per riflettere il sole ci sarà e, di conseguenza, aumenterebbe ancora di più il riscaldamento della Terra.
L’ESPERIMENTO ITALIANO - Un’equipe dell’Università di Milano, guidata dal professor Claudio Smiraglia, in collaborazione con Levissima, ha provato a contrapporre alla “febbre” del ghiacciaio Dosdé Piazzi, sulle Alpi Valtellinesi, un rimedio di protezione attiva con un telo geotessile chiamato “Ice Protector 500”. L’esperimento ha avuto inizio nel 2007 e ha permesso di analizzare, nel corso degli anni, la “febbre” del ghiacciaio e la quantità di acqua salvata tramite il geotessile. Nel 2008 sono stati preservati oltre 115.000 litri d’acqua mentre nel 2009 il telo ha permesso di preservare il 91% del ghiaccio glaciale e il 29% di neve. Negli ultimi anni la ricerca ha proseguito prima con lo studio del permafrost, ovvero del ghiaccio nascosto nel sottosuolo, poi con quello della neve. L’obiettivo è quello di capire quanta acqua, proveniente dalla fusione del ghiaccio, va ad alimentare i bacini idrici di alta quota e i torrenti di media e bassa quota. Sono in elaborazione i risultati del progetto da parte dei ricercatori.
aggiornato il 12 febbraio 2013