MILANO – Le acque italiane sono caratterizzate da un'elevata biodiversità. Purtroppo, gli organismi viventi nelle acque e il loro habitat spesso sono in pericolo. Per questo, lungo le coste italiane sono state istituite ben 31 Aree Marine Protette (AMP), ovvero zone marine di particolare pregio ambientale e paesaggistico, nelle quali è in vigore una normativa concepita per proteggere l’ambiente marino e favorire l’uso sostenibile delle risorse. Ad occuparsi della conduzione degli studi per istituire queste aree è l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Abbiamo chiesto al dottor Leonardo Tunesi, Responsabile dell’Area Tutela Biodiversità, Habitat e Specie Marine Protette per ISPRA di raccontarci lo stato degli ambienti marini in Italia e le leggi che sono state introdotte per tutelarne la biodiversità.
Le minacce per la biodiversità marina
Il dottor Tunesi sottolinea come le cause della perdita di biodiversità all’interno degli ambienti marini siano principalmente di origine umana e, in particolare, imputabili al sovra sfruttamento delle risorse biologiche, alle sostanze introdotte nell’atmosfera, all’inquinamento e alle alterazioni fisiche dell’ambiente costiero. Per garantire il funzionamento dell’ecosistema marino già dal 31 dicembre 1982 nel nostro Paese è stata introdotta la legge n°979 sulle “Disposizioni per la difesa del mare”. “Concepita dall’allora Ministero della marina mercantile, la legge prevedeva l’introduzione di un sistema di riserve marine, oggi chiamate Aree Marine Protette. L’obiettivo era difendere le realtà più importanti lungo le coste italiane.” Secondo il dottor Tunesi, si è trattato di un provvedimento esemplare, di riferimento a livello internazionale.
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La tutela delle aree marine
La legge italiana prevede che un’area marina protetta opportunamente perimetrata ospiti al suo interno zone soggette a diverso grado di tutela, pensate in modo da rispondere alle necessità di conservazione dei singoli tratti che la compongono. “La zona A, di riserva integrale, dove sono generalmente interdetti accesso e prelievo, è pensata per evitare la presenza di attività che possono arrecare danno o disturbo all’ambiente marino. Nelle zone afferenti al livello Bs è generalmente consentito l’accesso ma è vietata ogni forma di prelievo mentre nella zona B, dove la regolamentazione dell’ente gestore è meno vincolante, l’accesso è consentito ed il prelievo è regolamentato. Si possono, dunque, fare immersioni, è consentita la balneazione, le visite guidate e il transito, l'ormeggio e l'ancoraggio ad apposite boe; è consentita la pesca artigianale, in modo da essere compatibile con la tutela e il mantenimento delle specie ittiche. La zona C, nella quale l’accesso è consentito ed il prelievo è regolamentato con vincoli minori, serve invece a garantire un graduale modo di approccio alle zone più tutelate; in questa zona, ad esempio, è consentito il transito di imbarcazioni a motore a velocità ridotta, e possibilmente con un impatto ambientale minimo, e la pesca sportiva, vincolata da alcune regole.”. In alcune aree marine protette è inoltre previsto un ulteriore livello D, con minori misure di conservazione, pensato come buffer rispetto alle zone più sensibili. Questo tipo di approccio standardizzato, applicato su scala nazionale - sottolinea Tunesi - consente al fruitore di riconoscere rapidamente l’insieme delle attività consentite, favorendo al tempo stesso la fruizione degli ambienti protetti e l’uso sostenibile delle risorse marine.”
La regolamentazione delle attività di pesca
Per la tutela delle aree marine protette, la legge prevede un focus specifico per la pesca artigianale. “In generale nelle AMP le attività di pesca artigianale sono consentite ai pescatori professionisti locali, i quali possono meglio gestire le loro attività di prelievo, pescando nei momenti migliori ed evitando la pesca di esemplari sotto-taglia. Tale restrizione risulta necessaria per evitare il sovra sfruttamento delle risorse biologiche dovute ad attività di pesca non correttamente gestite, come può accadere fuori dalle aree marine protette dove l’attività di prelievo, consentita a tutti coloro i quali dispongono della licenza professionale di pesca, può portare a situazioni di sovra pesca a causa dell’eccessiva concorrenza tra i pescatori. L’autorizzazione ai soli pescatori residenti - che operano seguendo le indicazioni dell’area marina protetta - consente loro di organizzarsi al meglio, ottimizzando l’uso degli attrezzi e dei periodi di pesca e, al tempo stesso, contribuendo al ripopolamento ittico.”
Di Salvatore Galeone