MILANO – Ben 6.772 vittime a causa di frane e inondazioni dal 1963 a oggi, +156% di suolo consumato dalla cementificazione, 61,5 miliardi di euro dal dopoguerra ai giorni nostri. Sono i numeri preoccupanti del dissesto idrogeologico in Italia, un problema per il quale il water magazine del Gruppo Sanpellegrino In a Bottle lancia un appello di sensibilizzazione in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua. Le cause principali? Secondo gli espertisono dovute a una maggiore violenza dei fenomeni atmosferici e a una mancata cura del territorio da parte dell’uomo.
IL CAMBIAMENTO CLIMATICO – Ma perché il clima sta cambiando?“Da un lato le voci sul surriscaldamento della Terra sono vere ma dall’altro occorre capire a chi appartengono le responsabilità di– afferma Paolo Corazzon, climatologo e meteorologo – L’uomo ha anche le sue colpe, perché stiamo immettendo in atmosfera gas serra che aumentano la temperatura del pianeta. Questo aumento di calore si traduce come aumento di energia che rende i fenomeni atmosferici più violenti e con una distribuzione più irregolare. Capita, specie in Italia, di trascorrere due mesi senza precipitazioni per poi vedere piogge per una settimana. Abbiamo avuto anche di recente in Sardegna un’alluvione tremenda con quantitativi di acqua caduti in sei ore che sono il corrispettivo di sei mesi di pioggia”.
L’INCIDENZA DEI FENOMENI – Ma quanto incidono i fenomeni atmosferici? Spiega a In a Bottle il fisico e meteorologo Andrea Giuliacci: “Quello del dissesto idrogeologico sta diventando in Italia una vera e propria emergenza, come dimostrano gli eventi degli ultimi anni: frane e allagamenti infatti stanno rapidamente diventando più numerosi e devastanti, e a rischio è gran parte del nostro Paese. Parte del problema è senz’altro dovuto alle mutate condizioni climatiche. Mediamente in Italia si contano 3-4 alluvioni all’anno, e la stagione più pericolosa in questo senso è l’autunno, quando si concentrano circa il 51% degli allagamenti. La zona d’Italia più a rischio è invece il Nord: è qui che si sono osservati il 61% degli episodi alluvionali, contro il 20% del Centro e il 19% del Sud e Isole”.
IL TERRITORIO ITALIANO – Secondo gli ultimi dati del Cresme, referiscono che in Italia il 9.8% del territorio è a rischio idrogeologico. Di questa percentuale il 5.7% (pari a 17.255 chilometri quadrati) è a elevato rischio frane mentre il 4.1% (pari a 12.263 chilometri quadrati) a elevato rischio inondazione. Per quanto riguarda la popolazione, invece, ben 5.798.799 di italiani (pari al 9.6% della popolazione nazionale) vive in zone a elevato rischio idrogeologico. Ma ad aggravare ulteriormente il quadro è il consumo del suolo a fronte di un incremento della popolazione del 24% dal 1956 a oggi. E’ stato stimato che in Italia negli ultimi 5 anni sono stati consumati 8 metri quadrati al secondo il che significa che ogni 5 mesi è stata cementificata una superficie pari al comune di Napoli.
SCARSA CURA DEL TERRITORIO – Ma quanto incide la mancata cura del territorio? Spiega Gian Vito Graziano, Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi: “Certamente c’è da premettere che il nostro territorio è per sua connotazione geomorfologica vocato a un forte rischio di dissesto e alluvionamento. Ma le cause di questo fenomeno sono dovute anche a uno sviluppo edilizio disorganizzato degli anni 70 e 80 per cui oggi ne paghiamo le conseguenze e all’abusivismo edilizio favorito da regole senza prospettiva. Da non dimenticare poi è il fenomeno dell’abbandono delle campagne e soprattutto una politica agraria che per tanto tempo non ha concepito l’agricoltura come elemento di sviluppo.
IL COSTO DEL DISSESTO – Quanto è costato negli anni il dissesto idrogeologico? E’ stato stimato che dal 1944 a oggi è di 61.5 miliardi di euro il costo complessivo dei danni per frane e inondazioni mentre 40 miliardi è il fabbisogno che le Regioni hanno stimato per la messa in sicurezza del territorio. Quello degli investimenti quindi è un capitolo importante per contrastare questo importante problema. Conclude Gian Vito Graziano: “Sono tre i punti sui cui bisogna intervenire: investimenti su una base di priorità in misura più importante rispetto al passato; investimenti in cultura per dare consapevolezza ai cittadini che questo non è un problema che riguarda solo l’ambiente; ricostituire un gruppo di lavoro per affrontare in maniera organica il problema e promuovere una nuova legge di governo del territorio”.
MODELLI VIRTUOSI – Per affrontare questo problema esiste già qualche modello virtuoso. In Francia, ad esempio, da vent’anni esiste un progetto chiamato Agrivair e sviluppato da Nestlé Waters in collaborazione con gli attori locali, tra cui gli agricoltori e le imprese, per contribuire ad equilibrare la crescita economica della regione dei Vosgi con la tutela delle risorse idriche. Il progetto ha interessato 10.000 ettari di terreno e ha contribuito a migliorare la qualità del suolo nella regione, proteggendo la biodiversità dal 1992. Recentemente è stato anche premiato dal Presidente Francoise Hollande come modello di sviluppo sostenibile. In Italia il Gruppo Sanpellegrino ha intrapreso un percorso partendo dai suoi stabilimenti con l’implementazione di processi produttivi in grado di ottimizzare l’utilizzo dell’acqua e il risparmio energetico. Tutto ciò si traduce in risultati tangibili: sono stati ridotti del 35% i volumi complessivi di acqua utilizzata nei processi di produzione e del 12% il consumo di energia elettrica. Inoltre grande attenzione viene posta anchesulle fonti energetiche rinnovabili: dalgennaio 2011 Sanpellegrino utilizza per tutti i suoi stabilimenti il 100% di energia elettrica acquistata proveniente da fonti rinnovabili certificata RECS (Renewable Energy Certificate System).
Fonti:
Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA);
Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI CNR);
Istat;
Progetto Aree Vulnerate Italiane (AVI);
Sistema Informativo sulle catastrofi idrogeologiche;
Istituto Nazionale di Urbanistica;
Centro Ricerche Economiche e Sociali di Mercato per l’Edilizia e il Territorio (CRESME);
Ministero dell’Ambiente;
Centro Euro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC)
aggiornato il 22 marzo 2014