MILANO – Quasi 4 miliardi di anni fa, su Marte, scorrevano fiumi che per alcune caratteristiche ricordavano molto il Po. Quei corsi d’acqua attraversavano una grande pianura, situata a Nord-Ovest del bacino di Hellas, nell’Emisfero Sud del Pianeta Rosso. Oggi probabilmente sono sepolti ma hanno vissuto per un periodo di oltre 100mila anni. È quanto emerge da una ricerca pubblicata su Nature Communications. Il geologo Francesco Salese, che fa parte della IRSPS (International Research School of Planetary Sciences), ha condotto la ricerca con William McMahon dell’Università di Utrecht. Allo studio hanno partecipato anche diversi studiosi dalla Francia, dall’Olanda e dal Regno Unito.
La scoperta si deve allo strumento HiRISE
I depositi fluviali sono stati notati da HiRISE (High Resolution Imaging Science Experiment), uno strumento del satellite MRO (Mars Reconnaissance Orbiter) della NASA. Nella parete presa in considerazione sono visibili delle “strutture” a forma di U, che indicano il modo in cui il corso del fiume è mutato nel corso degli anni. La più recente risale a circa 3,7 miliardi di anni fa. La “struttura” rocciosa, ben esposta ed alta 200 metri, è lunga un chilometro e mezzo e presenta le pareti a picco.
Sedimenti depositati in decine di migliaia di anni
I dati che ha elaborato Francesco Salese, che lavora anche presso l’Università “G. D’Annunzio” di Pescara e all’Università di Utrecht, hanno permesso a lui e al team di ricerca, di paragonare quei fiumi al Po o al Reno. I corsi d’acqua di Marte infatti, scorrendo, creavano canali e banchi di sabbia, lo stesso tipo di “azione” che fa il Po.
“I sedimenti – spiega Francesco Salese in un breve intervento ad Ansa.it – si sono depositati in decine di migliaia di anni. È emerso che su Marte dovevano esserci condizioni ambientali tali da permettere di avere corsi d’acqua di grande portata, ma anche un ciclo dell’acqua dove le precipitazioni recitavano un ruolo chiave. Non è esattamente come leggere un giornale, ma le immagini ad alta risoluzione ci hanno permesso di studiare le rocce del Pianeta Rosso come se fossimo davvero molto vicini”.
di Michael Dones
Source: Adobe Stock