MILANO – Chi dice che una bottiglia di plastica è un mero contenitore?
Ogni cosa guardata dalla giusta prospettiva può diventare altro.
A tal proposito il giovane ingegnere Tateh Lehbib Braica, come riporta il Guardian, ha creato nei campi profughi sahariani del deserto algerino, ospitante 90.000 rifugiati, una casa con centinaia di bottiglie di plastica riempite di sabbia, cemento e una miscela di terra e paglia che funge da isolante termico.
Questo sistema è molto resistente rispetto ai tradizionali mattoni essiccati al sole, che cadono a pezzi durante le piogge, infatti protegge dal vento e dal sole, dalle avversità del deserto algerino.
La struttura delle case di bottiglia
La loro forma circolare ha un duplice scopo: non solo blocca le dune formatesi durante le tempeste di sabbia, ma con la parte esterna dipinta di bianco riduce l'impatto dei raggi solari fino al 90%.
Inoltre ha un doppio tetto con uno spazio di ventilazione e due finestre regolate a diverse altezze per favorire il flusso d'aria, questo significa che le temperature sono 5 gradi inferiori rispetto alle altre case nei campi.
Le inondazioni del 2015 e il 2016 hanno distrutto 9.000 case e il 60% dei campi, secondo (UNHCR) l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite.
L'idea di Tateh Lehbib Braica è stata selezionata a Ginevra come progetto pilota.
L’UNHCR ha concesso circa 55.000 euro per il progetto e sono state costruite più di 25 case nei cinque campi profughi sahariani nella provincia algerina di Tindouf.
Le case circolari sono spuntate dal terreno nei campi di El Aaiún , Auserd, Smara, Bojador e Dajla, che prendono il nome dalle città del Sahara occidentale da cui migliaia di persone sono fuggite nel 1975, dopo la cosiddetta Marcia Verde e marocchina occupazione.
Sostenibilità e vantaggi economici
Il progetto ha avuto successo sia per il basso costo e sia per i benefici ecologici.
Ogni casa ha bisogno di circa 6.000 bottiglie e di una squadra di quattro persone a settimana per costruire, per cui l’altro aspetto positivo è anche l’incremento del lavoro.
Tateh Lehbib Braica che ha studiato energie rinnovabili all’Università di Algeri e ha conseguito un master in efficienza energetica presso l'Università di Las Palmas in Gran Canaria, ha avuto questa intuizione nel 2016 dopo la grande alluvione.
Secondo Hamdi Bukhari, rappresentante dell'UNHCR in Algeria “il progetto è davvero innovativo e vantaggioso, non solo per le persone che abitano nelle case, ma anche per l’ambiente e per l’aumento del lavoro.”
Le 25 case saranno destinate a persone con disabilità fisiche, malattie mentali e in generale a famiglie in situazione di particolare vulnerabilità.
Un comitato tecnico dell'UNHCR visiterà i campi per partecipare alla cerimonia di inaugurazione e studierà se le tecniche di costruzione potranno essere utilizzate altrove.
di Valentina Izzo
11 luglio 2017
credits: Pablo Mediavilla Costa/El Pais