MILANO – Si fa presto a dire “ho sete!”. Pochi sanno, infatti, che questo stimolo comunemente dovuto al bisogno di reintegrare acqua esiste in due tipologie: una dovuta alla carenza di acqua, l’altra all’alimentazione. Ha tracciato le differenze e spiegato in cosa consiste la sete l’esperto J.T Fitzsimons nel suo libro The Phisiology of Thirst ad Sodium Appetite.
La sete primaria
Quella primaria corrisponde a una carenza di liquidi: si verifica quando si ha un’eccessiva perdita degli stessi (superiore al 2% del peso corporeo), non si ha un’integrazione corretta di acqua e insorgono sintomi d’allerta: stanchezza, irritabilità e difficoltà nella concentrazione.
Se a causa di malattie acute o croniche questa perdita dovesse aumentare, potrebbero comparire anche nausea, confusione mentale fino a veri e propri disturbi circolatori e insufficienza renale.
La sete secondaria
La sete secondaria è invece più legata all’alimentazione (eccesso di sale o di zuccheri), è indipendente dal senso di sete ed è riconducibile a tutti quei meccanismi (ad esempio la cosiddetta “acquolina in bocca”) che si attivano nel momento in cui assumiamo tali alimenti.
Quanto bere
Per qualsiasi persona in buona salute, la percezione della sete porta alla ricerca di acqua e liquidi: in generale e in situazioni di temperatura ambientale stabile, la quantità di liquidi introdotta attraverso l’acqua e il cibo dovrebbe oscillare tra i 2 e i 3 litri al giorno. È anche vero che, in situazioni particolari e per un tempo limitato, il corpo può sopravvivere con una quantità leggermente inferiore di acqua, grazie alla presenza di “sistemi d’adattamento” che consentono un risparmio delle perdite idriche dal corpo umano.
Le persone sane dispongono inoltre di meccanismi per l’eliminazione dell’acqua in eccesso, mantenendo così bilanciato l’equilibrio idrico. Gli sportivi, i malati cronici o gli individui esposti a un ambiente caldo-umido richiedono invece una maggiore assunzione quotidiana di acqua.
di Alessandro Conte
21 novembre 2018
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