MILANO – La sostenibilità è ormai da tempo al centro del dibattito e interesse pubblico di cittadini, organizzazioni, aziende e istituzioni, ma non sempre le diverse attività e concetti che comprende, sono facilmente comprensibili. Un esempio? Cosa si intende per Scope 1, 2, e 3? Come si applica?
L’importanza di calcolare la propria impronta
Per far fronte alle emissioni di gas serra derivanti dalle proprie attività, le aziende sono chiamate a calcolare – e ridurre e compensare – la propria impronta ambientale, definita carbon footprint. Quest’ultima espressione indica infatti l’impatto ambientale causato dai gas effetto serra emessi direttamente o indirettamente dai singoli attori in campo. Proprio tale distinzione tra emissioni dirette e indirette permette di approfondire il concetto di Scope, uno strumento introdotto dal Greenhouse Gas Protocol che consente una classificazione precisa e accurata.
Perché questa suddivisione è fondamentale? Perché permette alle aziende di individuare tutti i singoli fattori inquinanti, fornendo così l’opportunità di intervenire nel modo più preciso possibile. Il Greenhouse Gas Protocolo del 1998 si è posto proprio questo obiettivo: categorizzare e contrassegnare i diversi ambiti di emissione all’interno della catena del valore, per favorire uno sviluppo più efficace e una promozione più forte degli standard di contabilità e rendicontazione.
Emissioni di Scope 1, 2, 3: qual è la differenza?
Anche se rientrano tutte all’interno del calcolo totale dell’impronta di carbonio di un’azienda, le emissioni si suddividono in tre sottocategorie. Le emissioni di Scope 1 sono quelle prodotte direttamente dagli attori di riferimento. In altre parole, si tratta di tutte quelle emissioni causate dalle attività dell’azienda durante la produzione.
Le emissioni di Scope 2 riguardano invece tutte quelle attività che indirettamente richiedono il consumo di energia. Nello specifico, lo Scope 2 fa riferimento a quelle emissioni che si generano nel luogo in cui viene prodotta energia – poi utilizzata dall’azienda stessa per l’elettricità, il riscaldamento, etc.
Infine, anche lo Scope 3 riguarda le emissioni indirette, ma con uno sguardo più ampio e diffuso. Si tratta di tutte quelle emissioni prodotte dai clienti che utilizzano un prodotto o dalle attività dei fornitori dell’azienda stessa – per citare un paio di esempi. Una volta distinte, la grande differenza tra le tre dipende dal livello di difficoltà nell’individuarle e calcolarle: se le prime due tipologie sono quelle più comunemente e facilmente misurate – e di conseguenza compensate -, per il terzo ambito il discorso si complica.
L’impegno del Gruppo Sanpellegrino
Come molte altre aziende, anche il Gruppo Sanpellegrino è impegnato per ridurre le proprie emissioni. Secondo l’ultimo Bilancio di Sostenibilità pubblicato, infatti, il Gruppo ha misurato il proprio impatto ambientale tramite la metodologia del Life Cycle Assessment, comprendendo anche lo Scope 1, 2, e 3 – quest’ultimo nettamente il più impattante, rappresentando più del 95% delle emissioni totali causate in particolare dai rifiuti, dai prodotti e servizi venduti, dai viaggi di lavoro e dagli investimenti.
I valori più bassi delle emissioni di tipo 1 e 2, invece, derivano principalmente da alcune decisioni e investimenti compiuti dal Gruppo negli ultimi anni. Un esempio? Dal 2011 tutti i siti produttivi utilizzano il 100% di energia elettrica acquistata da fonti rinnovabili certificata RECS. Allo stesso modo, lo stabilimento di produzione di Cepina è stato inserito nel Project Horizon: un progetto di digitalizzazione che, grazie alla piattaforma DMO Energy, permette di monitorare tutti i consumi energetici dell’impianto, evidenziando potenziali inefficienze.
Di Elena Parodi